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la stramma

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La Stramma

a cura di Bruno Brillante

 

Stramma Ampelodesmos mauritanica

Specie mediterranea, originaria delle montagne dell’Atlante algerino, si ritrova, oltre che nell’Africa settentrionale, su quasi tutte le pendici litoranee aride della penisola (con esclusione di quelle pugliesi e dell’alto Adriatico) e in poche stazioni della Spagna e della Francia. E’ anche indicata col nome generico di “Sporto”, o anche “tagliamani”, a motivo delle foglie taglienti che possono procurare tagli nelle mani se prese per il verso sbagliato. Il nome scientifico è: Ampelodesmos ( dal greco : (legame per viti) tenax (tenace, resistente) Link,( il nome dello studioso che chiamò la pianta Ampelosdesmos)E’ un’erbacea appartenente al genere delle Graminacee di alto sviluppo e di eccezionale vigore vegetativo che vive spesso in associazioni pure (Ampelodesmeti), tipiche rappresentanti della steppa mediterranea. Foglie resistenti, lunghe fino a 1 m e larghe circa 7 mm, molto ruvide, con margini in seguito convoluti. pannocchia su culmo lungo e robusto, riccamente ramificata e lievemente unilaterale, con spighette peduncolate, compresse lateralmente, lunghe 10-15 mm, a 2-5 fiori. Lemma munito di 2 denti all’apice e di resta lunga 1-2 mm, esternamente peloso sulla metà inferiore. Ancora oggi dalle nostre parti, le sue foglie, lunghe e tenaci, si tagliano ogni terzo anno per fare lavori d’ intreccio e cordami. Costituisce anche ottima materia prima per la carta.

La stramma è conosciuta sin dall’antichità, ne parla anche Plinio il vecchio nelle sue Naturalis Historiae.

Questa erba rustica e resistente è stata impiegata per molteplici usi…

Corde per imbarcazioni, contenitori e recipienti per i materiali più disparati : cerali, pasta di olive macinata, terreno, sabbia. La stramma è stata utilizzata persino in guerra , riempita di sabbia e messa a protezione delle trinceee. Ancora, nell’edilizia: sino a non molti anni fa era frequente vedere interi palazzi ricoperti da pareti di stramma intrecciate in lunghe stuoie messe come copertura delle impalcature costruite per lavori di restauro all’esterno degli edificii.

E poi manufatti di ogni genere: copribottiglie, fiaschi,ceste, sporte, tappeti, selle e portabisacce per asini e muli sino alle più recenti e frivole bambole e le classiche scope di varie grandezze.

La stramma è un’erba di collina usata da sempre dagli abitanti di questo antico borgo e da quelli di pochi altri paesini ai confini tra il Lazio e la Campania. Chi sa lavorarla ricava da essa manufatti resistenti e pregevoli che per tantissimi anni hanno costituito la principale fonte di reddito per tante famiglie.

Oggi questo antico mestiere sta sparendo. Pochi anziani ancora la lavorano, producendo prevalentemente articoli destinati ad una utenza turistica.

Stuoie, tappeti, borse, cesti, porta fiaschi, porta bisacce, selle e tante altri oggetti utili e resistenti erano anche esportati in altre regioni e all’estero: basti citare l’ampio uso delle stuoie di stramma che venivano impiegate in edilizia, come copertura esterna alle impalcature montate per i lavori alle facciate dei palazzi.

 

Oggi, l’uso di materiali plastici e di altro materiale sintetico hanno soppiantato gli antichi manufatti e il rischio della fine di questa “arte povera” è reale e vicino.

In questo come in molti altri paesi del Sud Italia, l’asino aveva un ruolo fondamentale per l’economia e la sopravvivenza della piccola comunità.

Il duro lavoro delle campagne, il trasporto delle olive e della stramma trovava in questo forte animale un indispensabile collaboratore.

L’ultimo asinello circolava per le stradine del borgo sino ad una trentina di anni fa.

Recentemente, grazie alla passione di un gruppo di residenti, una mamma asina e il suo asinello sono tornati in quei luoghi.

L’asino, un tempo presente e familiare in queste contrade era quasi sparito e i due asinelli di Ventosa sono stati i primi a rompere con i loro ragli un silenzio durato molti anni.

Un pregiudizio che purtroppo ancora resiste, soprattutto in regioni dove sino a mezzo secolo fa ancora si viveva del duro lavoro dei campi e spesso si pativa la fame, è quello di associare all’asino l’idea e il ricordo di tempi difficili.

Una sorta di vergogna, di pudore, ancora accompagna molti anziani che oggi benestanti e affrancati da un passato di stenti e miseria hanno rimosso tutto o parte di quel passato legato alla terra e agli animali, e quindi anche all’asino compagno umile e prezioso di quei tempi lontani.

Ventosa è un paesino in provincia di Latina ai confini con le province di Caserta e Frosinone.

 

Tra Roma e Napoli, in collina, a pochi km dal mare.

Entrati in paese dall’unica strada di accesso, si giunge nella piazza e da essa alle poche stradine che tra case di pietra si continuano in campi e pinete.

Il paese, che si potrebbe definire un “Borgo concluso”, avendo conservato l’antico impianto urbanistico, ha stradine strette, ancora adatte agli asini.

L’idea è quella di far rivivere in modi non folklorici o di banale attrazione turistica, un borgo che, così come tanti altri piccoli centri, altrimenti rischia di perdere sin anche il ricordo delle proprie tradizioni e la sua stessa identità.

Il ritorno dell’asino potrebbe dare una forte spinta per la ripresa di attività legate alla presenza di questo animale.

Una diversa sensibilità ambientalista e animalista insieme con il cambiamento dei costumi e delle abitudini, è andata crescendo in Italia negli ultimi tempi, e così oggi, l’asino è guardato con occhio diverso da chi era abituato a considerarlo solo come un mezzo da usare per il trasporto e il lavoro.

Anche per questo il recupero e il reintegro di asini in queste regioni assume un valore particolarmente significativo, per la memoria dei luoghi, e una possibile economia trasversale legata anche alle tradizioni artigianali.

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